Come vi è noto entrambe le prestazioni in commento sono legate alla verifica preventiva delle condizioni reddituali legittimanti la pretesa assistenziale e di riflesso previdenziale (reversibilità). Tuttavia l’Istituto ha offero una propria interpretazione avulsa dal dato normativo con la quale ha inteso il concetto di “stato di necessità” quale condizione di totale dipendenza del richiedente privo di qualsivoglia emolumento di qualsiasi natura.
Casi tipici di conflittualità sono quelli che si verificano allorchè trattasi di soggetti separati con assegno di mantenimento mai riscosso ovvero ancora conviventi con l’ex coniuge nonchè di conviventi inabili del dante causa in stato di bisogno al momento del decesso che abbiano differenti ed ulteriori introiti comunque inferiori al limite reddituale.
Ebbene l’art. 3 della legge 335/1995, recante i requisiti per l’accesso all’assegno socialecosì recita: “Con effetto dal 1 gennaio 1996, in luogo della pensione sociale e delle relative maggiorazioni, ai cittadini italiani, residenti in Italia, che abbiano compiuto 65 anni e si trovino nelle condizioni reddituali di cui al presente comma è corrisposto un assegno di base non reversibile fino ad un ammontare annuo netto da imposta pari, per il 1996, a lire 6.240.000, denominato ‘assegno sociale’”.
Tuttavia a seguito del D.L. 201/2011 (convertito dalla L. n. 214/2011) si è assistito all’incremento di un anno del requisito anagrafico per il conseguimento dell’assegno sociale, richiedendo un minimo di 66 anni e 7 mesi. Inoltre, a partire dal 2019, per effetto dell’adeguamento alla speranza di vita (DM del 5 dicembre 2017, pubblicato i G.U. n. 289 12 dicembre 2017), anche l’assegno sociale rientra tra le prestazioni che possono essere percepite a 67 anni.
Dal tenore letterale del predetto articolo, non emerge alcun riferimento allo “stato di bisogno”, piuttosto il legislatore ha inteso agganciare lo “stato di necessità” ad un dato oggettivo sintomatico dell’impossibilità di provvedere ai propri bisogni primari: il limite reddituale. In tal senso si è espressa la Corte d’Appello di Roma, Sezione Lavoro, nella sentenza n.112 del 22.01.2019, ove leggesi: “[…] Ciò che rileva è il reddito e non la capacità economica del soggetto. Irrilevanti sono, pertanto, le doglianze dell’Istituto appellante in ordine alla necessità di verificare da parte del Tribunale della insussistenza dello stato di bisogno e della valenza a tali fini della rinuncia all’assegno di mantenimento del coniuge, atteso che i principi sopra richiamati sono perfettamente esportabili nella fattispecie in esame e non avendo dato, comunque, l’Istituto la prova del superamento da parte dell’istante dei limiti di reddito previsti dalla legge. […]” (ex plurimis Cass. Civ, sent. 3958 del 20.03.2001). L’ancoraggio operato dall’INPS, della erogazione della prestazione alla sussistenza di un presunto stato di bisogno non ha alcun riscontro normativo.